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Questione islamica e “carcere come istituzione”

Novembre 19, 2015 Sinappe 0 Comments

Egregio Presidente,
la drammatica attualità dei giorni scorsi spinge ad una doverosa e matura riflessione che, ripulita dalle comprensive spinte emozionali di cittadini europei, ci conduca verso un ragionamento che si protragga oltre all’allarmismo del momento.
Dopo il vile attacco subito dalla Francia ad opera del terrorismo islamico, l’Italia civile e politica serra le fila, temendo il concretizzarsi di quelle minacce mediatiche dirette al nostro Paese da sedicenti combattenti dell’ISIS.
Si innalzano così i livelli di sicurezza, si aggiornano gli elenchi degli obiettivi sensibili, anche se l’esperienza francese è la prova provata dell’imprevedibilità del fenomeno. Torna così in auge, in questo scenario di comprensibile timore sociale, la tematica del “carcere” quale luogo di proselitismo, forse dimenticando l’altro binomio, quello più elementare, di carcere come istituzione.
La riflessione parte dalla lettura di un saggio di un editorialista (P. Vanzan) pubblicato circa 10 anni fa e quanto mai attuale. In quel complesso e interessante scritto, l’editore ripercorre la filosofia della “questione islamica” :
“All’interno del mondo musulmano, islamizzare significa deoccidentalizzare tutto: dalle istituzioni politiche e culturali a quelle economiche, fino a ripensare lo stesso operato delle banche (ma anche espellere le comunità cristiane, ndr). All’esterno, significa diffondere l’islam con una potente azione missionaria sia in Europa, sia negli Stati Uniti…Ma, secondo interpretazioni più radicali, islamizzare l’Occidente significa aggredirne con violenza il potere politico e l’economia, senza escludere di colpire la popolazione civile. Questo programma panislamizzante può far sorridere, come a suo tempo non pochi sorrisero davanti a Hitler, prima della sua ascesa politica. Invece è un programma vero, che è attuato secondo un disegno lucido, e che, seppure lentamente, sta macinando successi”
Se degne di credito risultano queste parole, datate nel tempo, che oggi risuonano quasi profetiche, come non riflettere su ciò che può significare, a livello politico/istituzionale, un luogo deputato a privare della libertà personale e dunque di una cospicua parte del potere di azione, un elevato numero di soggetti appartenenti a quel credo?
Non solo “profeti”, dunque, ma membri di un macro sistema che appare di difficile monitoraggio. Ancor più difficile se si pensa alla fitta rete di rapporti con l’esterno che il nostro ordinamento penitenziario consente (colloqui visivi e telefonate). Non è azzardata, a questo punto, l’ipotesi che un duro colpo all’istituzione italiana possa passare proprio attraverso un attacco alle sue strutture penitenziarie.
L’apprezzata attenzione che si sta riservando al Paese nella sua interezza e in particolare all’evento cattolico cristiano del giubileo e conseguentemente alla città di Roma, non deve però distrarre dallo stato d’allerta nei confronti di tutti quelli che possono ritenersi “punti sensibili”, fra cui rientrano, a ragion veduta, gli istituti penitenziari. Sulla base di queste riflessioni è opportuno ragionare in termini di implementazione delle risorse (atteso lo stato di eccezionalità ed emergenza) che consentano alle singole Direzioni di integrare i servizi di pattugliamento del territorio circostante, in ausilio con quanto disporranno i singoli Prefetti.
La prevenzione “armata” tuttavia non esaurisce lo scenario delle possibili risorse da mettere in campo, non potendo sottovalutare, accanto alle funzioni della polizia penitenziaria quale “forza di Polizia”, quelle proprie del ruolo ricoperto, puntando su una diversa e più incisiva formazione del personale (quello che svolge servizio in prima linea) che miri alla conoscenza approfondita del fenomeno ma anche all’insegnamento fluente della lingua con corsi di arabo che non si pongano quale unico obiettivo unico quello di fornire una sommaria infarinatura (come è accaduto in passato); e perché no, creando dei gruppi di unità specializzate all’interno di ogni Istituto, al pari di quanto accadde con l’istituzione del GOM.
La portata della questione islamica, come è sotto gli occhi di tutti, ha una portata talmente ampia ed attuale che non può non spingere a riflettere su una attualizzazione delle competenze/conoscenze del personale che maggiormente è a contatto che l’etnia protagonista del fenomeno.
E’ per questi motivi che si è certi del giusto rilievo che vorrà accordarsi alla presente corrispondenza; si resta, pertanto, in attesa di un cortese cenno di assicurazione.
L’occasione è gradita per porgere distinti saluti.

Questione islamica e “carcere come istituzione”

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